E’ sempre più invalso gestire l’ipotesi del lavoratore sgradito all’impresa committente inserendo nei contratti di appalto la cosiddetta clausola di gradimento, ossia una disposizione con la quale il committente può chiedere l’estromissione dal proprio cantiere di uno o più dipendenti dell’azienda appaltatrice.
In linea di principio, si tratta dell’esercizio di un diritto pienamente legittimo e compatibile con il sistema giuslavoristico, atteso che è uno strumento posto a rimedio di uno stato di disfunzione che si potrebbero creare nell’unità produttiva. Trattandosi di personale che opera nei luoghi di lavoro del committente, ma sul quale lo stesso non ha alcun potere, la clausola di non gradimento attribuisce la possibilità di richiedere al proprio contraente la sostituzione di persone che non soddisfano le proprie esigenze (Cfr. Cass. Civ. sez. l. n. 4265/2007; Trib Bologna ordinanza del 17.12.2018; Trib. Milano ordinanza del 10.8.2011; Trib. Latina 10.11.2020).
Suddetto potere non inficia la genuinità dell’appalto, giacché – ai sensi dell’art. 1655 c.c. e dell’art. 29 del d.lgs. 276/2003 a tali fini rilevano altri indici quali l’assunzione del rischio di un risultato predefinito, l’autonomia della propria organizzazione imprenditoriale, l’esercizio del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei propri dipendenti.
Ovviamente, l’allontanamento non sarà possibile qualora la clausola fosse adoperata con fini discriminatori o senza alcuna giustificazione (ad esempio se determinato da una preferenza personale).
Il potere di gradimento in capo al committente non è – infatti- tale da identificarsi in una sorta di potere di recesso ad nutum che, paradossalmente sorgerebbe in capo ad un terzo rispetto il datore di lavoro. Ciò anche in considerazione dell’insegnamento della Corte Costituzionale che nella sentenza n. 194/2018 ribadisce il diritto del lavoratore a non essere estromesso dal lavoro ingiustamente.
In concreto, sarebbe illegittima la sostituzione di un lavoratore perché, ad esempio, svolge attività sindacale, oppure perché rivendica diritti che effettivamente gli competono.
Non essendo pensabile l’esistenza nel nostro ordinamento di una figura a danno di terzi, l’utilizzo di tale facoltà deve essere pertanto ispirato a correttezza e buona, ed immune da arbitrarietà (cfr. Tribunale Torino, Ordinanza 4.3.2019).
I provvedimenti da adottare nei confronti del dipendente dell’appaltatore a seguito dell’esercizio della clausola di non gradimento.
Il trasferimento.
Nel caso di legittima richiesta di esonero dal servizio presso la propria unità, da parte del committente, all’appaltatore non resta che trasferire altrove il proprio dipendente.
Tale fattispecie di trasferimento rientra fra quelli effettuati per incompatibilità aziendale, che sono pacificamente considerati legittimi.
Il trasferimento per incompatibilità aziendale trova la sua causa nello stato di disorganizzazione e disfunzione dell’unità produttiva e va ricondotto a esigenze tecniche, organizzative e produttive, previste dall’art. 2103 c.c..
Tale forma di trasferimento non è riconducibile a ragioni punitive e disciplinari, e la sua legittimità prescinde dalla colpa dei lavoratori trasferiti e dall’osservanza di qualsiasi altra garanzia sostanziale e procedimentale prevista per le sanzioni disciplinari (Cass. Civ. Sez. lavoro, Ord. 26.10.2018 n. 27226; Cass Civ. Sez. lavoro, 12.12.2002 n. 17786).
Proprio per questo, e per l’estraneità dei lavoratori alla clausola di gradimento la quale attiene esclusivamente al rapporto commerciale fra gli imprenditori coinvolti nell’appalto, la richiesta dell’allontanamento di lavoratori non graditi deve essere attentamente scrutinata verificando la reale esistenza di esigenze tecniche produttive che hanno determinato il datore al trasferimento del lavoratore.
Tali esigenze tecniche produttive possono essere compatibili con motivi soggettivi riconducibili al dipendente sgradito, ad esempio il lavoratore non è tecnicamente idoneo o preparato a svolgere la mansione richiesta; oppure ha un carattere litigioso che destabilizza il clima lavorativo; o anche a condotte propriamente illecite (ad esempio arriva sempre in ritardo; abbandona il posto senza autorizzazione; si presenta ubriaco al lavoro ecc.)
A tal proposito viene da segnalare l’opportunità, in tali casi, di mettere per iscritto i motivi per i quali si chiede l’allontanamento del lavoratore. Questo tutela l’appaltatore in caso di contestazione del provvedimento da parte del dipendente; e tutela altresì il committente da eventuali cause di natura risarcitoria.
Il rischio di non riuscire a dimostrare la legittimità dell’allontanamento ricade inevitabilmente sul datore di lavoro come ci insegna la citata sentenza del Tribunale di Torino .
Con tale pronuncia è stato dichiarato illegittimo il licenziamento per giustificato motivo oggettivo di un lavoratore sgradito al committente (costretto quindi ad abbandonare il cantiere), ma che il datore non era riuscito a ricollocare in altro posto all’interno della propria azienda e che pertanto aveva licenziato.
Nel caso specifico, l’azienda aveva dimostrato di essere impossibilitata a esercitare con successo il repechage del lavoratore; ma per quanto riguarda il motivo dell’allontanamento, si era limitata a produrre una lettera con la quale – senza specificarne le ragioni – il committente ne chiedeva la sostituzione.
Secondo il Tribunale di Torino, in assenza di motivazione, non era comprovato il corretto esercizio della clausola di gradimento. Di riflesso, veniva meno la giustificazione del licenziamento.
Il licenziamento quale estrema soluzione.
Il richiamo alla sentenza del Tribunale di Torino ci offre l’aggancio per un breve esame sulla risoluzione del rapporto di lavoro con il lavoratore “sgradito” al committente.
L’estromissione dal cantiere non costituisce una valido motivo di licenziamento, che tuttavia potrà essere adottato qualora il datore di lavoro dimostri, oltre che la richiesta del committente sia legittima e non arbitraria, anche che il lavoratore non sia ricollocabile altrove in una posizione compatibile con la sua professionalità, offrendo anche – nel caso ve ne siano- mansioni inferiori. Si tratta del cosiddetto obbligo di repechage che nel solo caso in cui risulti impossibile esercitarlo, consente al datore di licenziare il lavoratore per giustificato motivo oggettivo divenuto in sovrannumero.
Resta inteso che il lavoratore potrà essere licenziato, prima ancora di esercitare il trasferimento, qualora l’esclusione sia la conseguenza d’inadempimenti contrattuali o illeciti disciplinari talmente gravi da ledere la fiducia (con il proprio datore di lavoro) e da non consentire più il proseguimento del rapporto configurando un licenziamento ai sensi degli articoli 2118 e 2119 del codice civile.