Le espressioni critiche e le garanzie per il rappresentante sindacale.

Le espressioni critiche del dipendente nei confronti dell’Organizzazione aziendale in cui opera, sono di per sé lecite e debbono essere tollerate; ma se adottate con mezzi e modalità non consone possono sconfinare nella violazione di norme disciplinari in particolare l’art. 2105 del codice civile (obbligo di fedeltà).

Anche buona parte dei contratti collettivi e dei codici disciplinari aziendali sono provvisti di norme che tendono a reprimere i pensieri critici espressi fuori misura ed esorbitanti. Si pensi alla previsione in tutti i ccnl dell’insubordinazione, o della sanzionabilità di condotte che portino pregiudizio alla disciplina, alla morale, dell’azienda.

Va quindi operato un bilanciamento tra i contrapposti interessi del diritto del lavoratore a esprimersi liberamente e senza subire censure, e quella del datore di lavoro e dei suoi sottoposti a non essere meta di affermazioni diffamatorie.

Dottrina e giurisprudenza si sono cimentate – nel corso degli anni- nella ricerca dell’equilibrio tra il diritto di critica sul luogo di lavoro, protetto in primo luogo dall’art. 21 della Costituzione, e dall’art. 1 dello statuto dei Lavoratori, (diritto dei lavoratori di manifestare liberamente il proprio pensiero sul luogo di lavoro); e l’obbligo del dipendente alla fedeltà e collaborazione e del rispetto della dignità dell’uomo.

Il principio dominante che si è consolidato nel corso del tempo è quello che l’esercizio del diritto di critica da parte del lavoratore nei confronti del datore di lavoro è legittimo, ma può essere idoneo a ledere definitivamente la fiducia e costituire giusta causa di licenziamento ogniqualvolta avvenga con modalità tali che, superando i limiti della continenza formale si traduca in una condotta gravemente lesiva della reputazione e violi i doveri fondamentali dell’ordinaria convivenza civile (cfr. Cass. civ. n. 31395/2019; Cass. civ. n. 18176/2018; Cass. civ. n. 14527/2018).

Per continenza formale s’intende il rispetto dei canoni di correttezza, misura e civiltà, e rispetto della dignità altrui (v. cit. Cass. civ. n. 31395/2019; Cass. civ. n. 1379/2019).

A monte della continenza formale va valutata anche la continenza sostanziale della critica, ovvero che essa si sostanzi nell’attribuzione di condotte e fatti che si assumono come storicamente verificatesi: i fatti narrati debbono corrispondere a verità, sia pure non assoluta ma corrispondente a un prudente apprezzamento soggettivo di chi dichiara gli stessi come veri. In buona sostanza, le notizie e i giudizi che si diffondono non debbono basarsi su circostanze inventate, e in ogni caso debbono ricevere un controllo a monte.

Continenza sostanziale e continenza formale si fondono e non basta il rispetto di uno solo dei due criteri per giustificare e rendere la critica legittima.

I modi espressivi assumono poi una diversa valenza secondo la loro potenziale diffusione, quale un articolo di giornale, piuttosto che un’intervista radiofonica o televisiva.

Assume maggiore o minore rilevanza anche in base al soggetto che la esprime: se la critica è esercitata da uno stretto collaboratore dell’imprenditore ha un peso specifico diverso ed è più grave rispetto alla medesima critica esercitata da un lavoratore che ricopre una mansione d’ordine o di un basso livello.

Rileva anche, ai fini della valutazione della gravità e dei provvedimenti da assumere, se l’offensività delle dichiarazioni ha provocato un danno effettivo, o potenziale, al datore di lavoro.

Il confine della legittimità della critica, spesso assai labile, può senza dubbio considerarsi oltrepassato, ove si attribuiscano all’impresa datoriale o a suoi rappresentanti qualità apertamente disonorevoli, con l’attribuzione di riferimenti volgari e infamanti e di deformazione tali da suscitare disprezzo o dileggio, così come l’attribuzione di riferimenti denigratori.

Resta inteso che in base alla gravità della singola fattispecie illecita, commisurata alla violazione dell’art. 2105 c.c. e in rapporto ai generali criteri della correttezza e buona fede contrattuale, si dovrà valutare la condotta del lavoratore e scegliere la sanzione che rispetti i criteri di proporzionalità che esige l’art. 2106 c.c. e dell’art. 7 dello statuto dei Lavoratori, che potrà arrivare al licenziamento disciplinare.

Sono, per contro, pertinenti le critiche inerenti un interesse meritevole in confronto con il bene in confronto con il bene suscettibile di lesione (Cass. Civ. sez. lavoro, 25.2.1986 n. 1173), che comunque dovranno essere mantenute entro i confini dalla continenza formale.

Nel rapporto di lavoro è sicuramente interesse meritevole quello attinente le condizioni di lavoro come le rivendicazioni sindacali o le manifestazioni di opinione relative il contratto di lavoro, mentre esondano dal limite della pertinenza le critiche riguardanti le sue qualità personali e l’onorabilità, oggettivamente avulse da ogni correlazione con il rapporto contrattuale.

Le espressioni critiche e le garanzie per il rappresentante sindacale.

Quando la critica proviene da un lavoratore con funzioni di rappresentante sindacale e l’espressione di pensiero è volta al perseguimento di un fine collettivo, il diritto gode di un ulteriore copertura costituzionalmente garantita, quella dell’art. 39 cost., che si aggiunge alla già citata libertà garantita dall’art. 21 Cost.

Si è così affermato che il sindacalista è titolare di due distinti rapporti con l’imprenditore: come lavoratore in posizione subordinata e come sindacalista in posizione parificata a quella della controparte in virtù della garanzia costituzionale dell’art. 39 (Cass. n. 31395/19; Cass. n. 1876/18; Cass. n. 7471/12).

Le critiche del dipendente espresse mediante uso dei social network, in particolare Whatsapp e Facebook.

Le critiche del dipendente espresse mediante uso dei social network, in particolare Whatsapp e Facebook.

La giurisprudenza si è trovata, negli ultimi anni, ad affrontare la questione delle critiche denigratorie del dipendente diffuse per mezzo di social network, in particolare Whatsapp e Facebook.

La Corte di Cassazione, distingue due ipotesi: quella in cui il messaggio sia inviato a un numero chiuso di persone, e in tal caso sarebbe privo di rilevanza disciplinare; e l‘ipotesi in cui il messaggio possa essere letto da un numero indiscriminato di persone. In questo secondo caso, il fatto assumerebbe rilievo disciplinare. La Corte ha, infatti, stabilito che la diffusione di un messaggio offensivo tramite bacheca facebook integri il reato di diffamazione per la potenziale capacità di raggiungere un numero indeterminato di persone, posto che il messaggio, proprio per il mezzo utilizzato, assume un profilo allargato a un gruppo indeterminato, e tale circostanza legittima il licenziamento per giusta causa (Cass. 27.4.2018 n. 10280).

Un’altra sentenza della Corte di Cassazione (Cass. 10.9.2018 n. n. 21965) non ha invece ritenuto sussistente la giusta causa di licenziamento con riferimento a una chat di facebook perché la comunicazione era avvenuta all’interno di una cerchia di persona determinate. Ciò costituirebbe uno sfogo in un ambiente ad accesso limitato, come tale incompatibile con i requisiti propri della diffamazione e quindi privi del carattere dell’antigiuridicità.

Riconducendosi a questo insegnamento, il Tribunale di Firenze, con sentenza del 16.10.2019 ha stabilito l’illegittimità del licenziamento di un lavoratore che aveva denigrato un suo superiore gerarchico con frasi digitate su di un gruppo Whatsapp costituito con colleghi, ad accesso limitato. Pur avendo accertato il carattere offensivo dei messaggi, e individuato chi ne fosse l’autore, la circostanza che non potesse raggiungere un numero indeterminato di persone, trattandosi di affermazioni destinate a rimanere riservate, il Giudice del lavoro di Firenze ha escluso il potere punitivo del datore di lavoro.

Non vi é chi ha (condivisibilmente) evidenziato che una critica offensiva (e magari anche ingiusta) resta tale sia se indirizzato a un numero indefinito di persone, sia a un numero ristretto di utenti (in tal senso Pezzini G., Sulla rilevanza disciplinare delle opinioni espresse in un gruppo whatsApp, in Il lavoro nella Giurisprudenza n. 6/2020); tuttavia la giurisprudenza ha sinora adottato il criterio già utilizzato nella diffusione attraverso i mass media, ritenendo i fatti tanto più gravi quanto in grado di raggiungere un numero elevato di persone.

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