Efficacia dei contratti collettivi aziendali e territoriali nei confronti dei dipendenti; e lavoratori dissenzienti.
A fianco della contrattazione collettiva nazionale che regola i rapporti di lavoro e ne disciplina i trattamenti economici e normativi, nei principali Paesi dell’Unione europea si è sviluppata negli ultimi trent’ anni una generale tendenza a favorire il decentramento della contrattazione allo scopo di favorire la crescita della produttività valorizzando le retribuzioni reali.
Si è così diffusa la c.d. contrattazione di secondo livello, vale a dire quei contratti collettivi integrativi aziendali o territoriali o di prossimità, questi ultimi introdotti dall’art. 8 del D.L. n. 138/2011, che possono intervenire su materie e istituti in tutto o in parte delegate dalla contrattazione di primo livello (interconfederale o nazionale) e, nel caso degli accordi di prossimità possono derogare – in determinate materie -anche alla legge.
Se riguardo il rapporto tra contratto collettivo e contratto di lavoro individuale l’art. 2077 c.c. vieta la deroga in pejus del secondo rispetto al primo, prevalendo l’applicazione delle clausole più favorevoli al lavoratore; il rapporto di prevalenza tra contratti collettivi di primo e secondo livello è stato risolto nel senso che i contratti aziendali o, più in generale, di secondo livello, possono derogare (anche in peius) ai contratti nazionali fatti salvi i diritti quesiti relativi a prestazioni già rese (v. Cass 27115/2017; Cass. n. 19396/14; Cass. n. 11939/04; Cass. n. 4839/01; Cass. n. 2155/90; Cass. n. 3047/85; Cass. S.U. n. 1081/84).
Suddetti arresti affermano infatti, che il contrasto fra contratti collettivi di diverso ambito (nazionale, regionale, provinciale, aziendale) non deve essere risolto in base al criterio della gerarchia (che comporterebbe sempre la prevalenza della disciplina di livello superiore) o in base al criterio temporale (che comporterebbe sempre la prevalenza del contratto più recente), che sono invece rilevanti nelle ipotesi di successione di contratti nel medesimo livello.
Si deve invece considerare che i contratti di secondo livello sono atti di autonomia sindacale riguardante una pluralità di lavoratori collettivamente considerati e, dunque sono idonei a introdurre una disciplina collettiva uniforme dei rapporti di lavoro in essere in un’azienda o in un determinato territorio, anche in deroga agli accordi di livello nazionale.
Non opera, viceversa, il citato principio espresso dall’art. 2077 c.c. che concerne esclusivamente il rapporto tra contratto individuale di lavoro e quello collettivo. (cfr. Cass. n. 19396/14 ; Cass. n. 6516/02; Cass. n. 8296/01; Cass. n. 2363/98).
Chiarito il rapporto tra contratti collettivi di differente livello, si pone la questione dell’efficacia soggettiva della contrattazione integrativa e degli effetti che essa dispiega tra i lavoratori.
In altre parole: le norme pattuite valgono per tutti i lavoratori, o solo per quelli iscritti a un sindacato firmatario? e ancora: può un lavoratore dichiararsi dissenziente e pretendere che non siano applicate al proprio rapporto di lavoro le clausole concordate in sede territoriale o aziendale?
In via generale, i contratti collettivi di secondo livello sono applicabili a tutti i lavoratori dell’azienda, ancorché non iscritti alle organizzazioni sindacali stipulanti, in quanto la tutela di interessi collettivi della comunità di lavoro aziendale concorrono a giustificare “la efficacia soggettiva erga omnes, e quindi anche nei confronti dei lavoratori dell’azienda non iscritti alle organizzazioni sindacali stipulanti” (v. tra le altre, Cass. n. 12272/2013).
Tuttavia, l’efficacia non è assoluta e non opera per quei lavoratori che, aderiscono ad una organizzazione sindacale che non ha firmato l’accordo integrativo, e che ne condividono l’esplicito dissenso dall’accordo. E’ quanto ha affermato, da ultimo, la recente sentenza di Corte di Cassazione n. 26509 del 20 novembre 2011.
Pertanto il lavoratore per evitare di essere vincolati alle clausole del contratto integrativo che ritenesse sfavorevoli deve congiuntamente essere iscritto a un sindacato non stipulante l’accordo, ed esprimere espressamente il dissenso all’accordo medesimo.
Diversamente, la sola contestazione – pur motivata- del dipendente aderente a un’organizzazione firmataria o anche non appartenente ad alcun sindacato non è sufficiente per far valere giuridicamente il proprio dissenso (v. Cass n. 6044/2012).